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Il Þorsteins þáttr bæjarmagns è una "saga del tempo antico" tràdita in
numerosi manoscritti databili tra il xiv
e il xvi secolo. Essa contiene
molti temi attinenti al mito, al folklore nordico e alla fiaba popolare.
Tipico delle fornaldarsögur è l'intreccio tra questo mondo e l'altro
mondo, raggiungibile attraverso le perigliose rotte artiche, le cui contrade,
percepite come prossime al regno delle tenebre e della morte, sono gremite dei
caratteristici abitanti del mondo liminale, quali troll, giganti e potenti
incantatori.
Þorsteinn, membro del séguito del re norvegese Óláfr Tryggvason, è
soprannominato il "colosso della masseria" per la sua notevole stazza, ma una
volta giunto nelle più remote terre del Nord, abitate da esseri di smisurata
statura, toccherà a lui subire un'esperienza di alterità e si ritroverà
ribattezzato il "bambino della masseria". Ciò nonostante, Þorsteinn si rivela
elemento fondamentale per risolvere una mortale contesa tra due titanici
sovrani. Grazie a un prodigioso mantello d'invisibilità, sostiene re Goðmundr di
Glæsisvellir, vessato dalle pretese dell'insidioso re Geirröðr di Jötunheimr,
nel corso di un periglioso banchetto irto di tranelli, risse e giochi mortali,
tra cui il lancio di una testa di foca incandescente e una gara di bevute in un
corno antropocefalo e oracolante chiamato Grímr "il buono".
Dopo essere tornato in Norvegia recando ricchi doni a re Óláfr, Þorsteinn
decide di stabilirsi definitivamente nell'oltremondo, come vassallo di re
Goðmundr. Ma dovrà affrontare e sconfiggere il revenant del defunto
jarl Agði, che lo perseguita per essersi impadronito della sua masseria e
unito in matrimonio con la gigantessa sua figlia. Il trionfo del cristianesimo
sul paganesimo è sancito dall'allontanamento di questo morto in corpore,
attorniando di croci la recinzione della proprietà. Si viene così a creare un
microcosmo cristiano in un macrocosmo pagano, il mondo degli uomini si incastona
nel mondo dei morti.
Sullo sfondo di avventure meravigliose, oscillanti tra paganesimo e fede
cristiana, si tracciano i contorni di una topografia boreale irrealistica e
fiabesca, che allude a influenze reciproche tra l'epopea delle spedizioni
vichinghe e le tradizioni magiche dei sámi (e non solo). |